L’ approccio allo Spigau non deve essere quello del confronto con vini macerati di altre zone, penso al Friuli e quindi a hdrZidarich, Radikon e Podversic, anche se le differenze balzano agli occhi, al naso e in bocca, ma non i termini di “meglio” o “peggio” sia ben chiaro, semplicemente di “diverso”. Lo Spigau è un vino dinamico, con una sua precisa e potente espressione, una buona salinità che compensa un’acidità meno prorompente, una buona mineralità, forse più attenuata rispetto a quella del Carso, e una nota alcolica in secondo piano, ma con un concentrato di aromi molto più mediterranei, tipici i sentori di erbe aromatiche come rosmarino e alloro.
Lo degustiamo a una temperatura di servizio tra 14 e 16 gradi, quasi come fosse un rosso, troppo freddo risulterebbe spigoloso. Sicuramente un vino da non bere prima dei tre anni dalla vendemmia, sarebbe uno spreco. Lo Spigau infatti è pensato per essere valutato in prospettiva, magari a scapito di una sua fruizione immediata. Setttantamila le bottiglie annue prodotte dall’azienda, vigneti a 200-300 metri di altitudine, argillosi e ricchi di ferro. Terroir con le sue sfumature che ritroviamo nel bicchiere insieme ai tratti varietali del vitigno. Questo vino è un chiaro esempio di come la macerazione non sia sinonimo di omogeneizzazione.

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Degusto con Tommaso Mannari, sommelier di origine toscana – l’accento non lascia dubbi. L’annata 2005 mi dice che è strepitosa. Perché è il tempo che consacra la qualità. Intanto proviamo il 2010, che Fausto De Andreis considererebbe ancora molto giovane. Colore dorato vivacissimo con riflessi orange, denso. Il naso complesso ed elegante si concede subito con un coacervo e concentrato di aromi maturi assolutamente nitidi, proprio per questo andrebbe degustato con attenzione alle sfumature che si “incollano” all’olfatto e lasciano intuire note di miele portate con grazia, mandorle, lievito, sensazioni mentolate, davcon un accenno floreale (ginestra e acacia su tutti, ma anche camomilla). L’accenno minerale di pietra focaia intriga. Il retrogusto è leggermente amarognolo, il finale lungo con ritorni aromatici. La nota dolce non è ossidativa, persiste.  La vena del vino mantiene una certa freschezza. Si crede che il Pigato  sia un clone del Vermentino. Importato dalla Grecia nel 1600, trovo che raggiunga i risultati migliori con la macerazione così come la intende De Andreis.
Perfetto compagno gastronomico di un primo o un secondo a base di gamberi. E, non da meno, il prezzo educato (siamo sui 20 euro a bottiglia in enoteca). Sicuramente un vino da capire. Quindi non per tutti.  Come un cd di Leonard Cohen.hdr

Fonte: Wine Stop and Go